È il 1915 quando Elizabeth Endicott arriva ad Aleppo, in Siria, con un diploma da infermiera e la conoscenza molto limitata della lingua armena, per portare aiuto e cibo ai rifugiati scampati al genocidio armeno. Qui Elizabeth stringe amicizia con Armen, un giovane ingegnere che ha perso la moglie e una figlia piccola a causa della guerra. Quando l?uomo lascia Aleppo per raggiungere l?Egitto, inizia una corrispondenza con la ragazza, di cui si rende conto di essere innamorato, nonostante le profonde differenze tra la giovane e ricca americana e la moglie che ha appena perduto. La storia si dipana poi su due piani temporali diversi e procede nei nostri giorni, seguendo le vicende di Laura Petrosian, una scrittrice di New York i cui nonni sono di origine armena, una caratteristica a cui lei non ha mai dato grande importanza. Ma un giorno una vecchia amica le racconta di aver visto, a Boston, la pubblicità di una mostra che ritrae una donna che potrebbe essere la sua bisnonna. Inizia così per la ragazza un viaggio nel passato della sua famiglia, che la porterà alla scoperta della storia di un grande amore perduto e di un segreto sepolto per generazioni. http://www.elliotedizioni.com/prodotto/le-ragazze-del-castello-di-sabbia/
La voce narrante non è quella dello scrittore americano dal cognome rivelatore della sua ascendenza, ma quella di una donna, nipote della protagonista fittizia del romanzo da cui ha ereditato i capelli biondi: a distanza di quasi un secolo ha fatto delle ricerche, ha letto le lettere e i diari della nonna conservati nell’archivio di un museo, ha trovato una fotografia straziante, di una donna macilenta che ha lo stesso cognome di suo nonno… Perché questo è un romanzo e, in quanto tale, contiene anche una storia d’amore e non solo storie di morte. Ad Aleppo Elizabeth Endicott aveva incontrato un affascinante ingegnere armeno, se ne era innamorata, lo aveva sposato. E al figlio non avevano quasi mai parlato del ‘Genocidio Di Cui Non Si Sa Quasi Nulla’. Alla nipote che racconta verrà spontaneo parlare degli armeni come della ‘mia gente’ soltanto alla fine della ricerca, riappropriandosi così delle sue origini. https://www.wuz.it/recensione-libro/7917/ragazze-del-castello-sabbia-Chris-Bohjalian.html
A Costantinopoli, la notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 vennero eseguiti i primi arresti tra l’élite armena della città. In un mese un migliaio di intellettuali armeni fu deportato verso l’interno dell’Anatolia e massacrato lungo il percorso. Si stima che 1.200.000 persone morirono nelle marce della morte, per fame, per sfinimento, malattia o per mano di sadici soldati turchi. Talat Pascià, all’epoca Ministro degli Interni in Turchia, minimizzò l’eccidio, denunciando uno sparuto numero di 300.000 morti. Fu questo il primo genocidio del secolo XX, quasi una prova generale di quello che i nazisti avrebbero effettuato durante la seconda guerra mondiale. Non è un caso – anzi, è un’oscura e profetica minaccia – che i tedeschi fossero alleati della Turchia contro la Russia. E che la motivazione ufficiale per gli arresti degli armeni fossero le loro presunte trame a fianco della Russia. Il 24 aprile è diventata la data per la commemorazione di questo genocidio, tuttora non riconosciuto dalla Turchia. Paradossalmente, mentre una legge in Francia punisce chi lo nega, una legge in Turchia punisce chi ne parla – ne ha fatto le spese lo scrittore Ohran Pamuk, peraltro ricompensato dal conferimento del Nobel su cui ha indubbiamente influito il suo atteggiamento in sostegno degli armeni