“La favola del Principe di Sansevero” di Elviro Langella. Mostra iconografica con opere digitali realizzate da Elviro Langella

Un luogo incantato, una domenica pomeriggio d’inverno… Domenica 30 gennaio 2022, in Napoli, nel giardino della Casina Pompeiana di Palazzo Venezia, la presentazione del libro “La favola alchemica del principe di Sansevero” di Elviro Langella promossa dall’Associazione Culturale “MUSEO MINIMO”,  sèguito della mostra allestita al Museo Minimo Gallery “La Cappella Sansevero nelle lastre di Umberto Santamaria Amato” Omaggio a Raimondo di Sangro a 250 anni dalla scomparsa”.

Venerdì 22 aprile 2022, in Napoli, nello Spazio espositivo Museo Minimo – Via detta San Vincenzo 3 angolo Via Leopardi 47 – quartiere Fuorigrotta, vernissage della mostra iconografica con i pannelli realizzati da Elviro Langella nel giorno antecedente la presentazione a Procida del racconto «Dinanzi al Cristo dei Misteri di Procida» tratto dal menzionato libro “La favola alchemica del principe di Sansevero” – evento dedicato a Enrichetta Capobianchi, interprete unica delle antiche tradizioni di Procida. Vedi Tavole

Un progetto culturale di respiro nazionale, correlato ad un percorso didattico mirato alla diffusione della figura e delle opere del principe di Sansevero, in continuità con le attività intraprese da Elviro Langella con istituzioni, scuole e associazioni  in occasione dei 250 dalla morte di Raimondo di Sangro (22 marzo 1771).

  • Orari di apertura
  • lunedì e mercoledì ore 15,00 – 18,00
  •  martedì, giovedì e venerdì ore 9,00 – 12,00 / o  previo appuntamento
  • Chiusura mostra: 22 giugno 2022
  • ingresso libero
  • Spazio espositivo: 
  • Museo Minimo 
  • Via detta San Vincenzo 3 angolo Via Leopardi 47
  • 80125 Napoli (Fuorigrotta)
  • info 3402558990
  • Vernissage:  22 aprile 2022 – ore 19,00

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Congrega dei Turchini, Procida, 23 aprile 2022 ore 18.00. Dinanzi al Cristo dei Misteri di Procida racconto tratto dal libro di Elviro Langella “La favola del principe di San Severo”.

Seconda tappa – dopo Napoli, Palazzo Venezia lo scorso 30 gennaio 2022 – delle quattro previste nel progetto “La Favola del principe di Sansevero” – a cura del Dott. MIMMO MACALUSO,  Ispettore Onorario dei Beni Culturali Regione Siciliana.

A Procida il 23 aprile 2022 presso la Congrega dei Turchini, si terrà la presentazione di “Dinanzi al Cristo dei Misteri di Procida” racconto dedicato a ENRICHETTA CAPOBIANCHI, interprete unica del canto antico dei Misteri di Procida tratto dal libro di Elviro Langella “La favola del principe di San Severo”

  • L’ appuntamento, che propone anche una mostra multimediale, sarà introdotto
  • dal Priore MATTEO GERMINARIO
  • e dal Dottor GABRIELE SCOTTO DI PERTA
  • a seguire gli interventi
  • dello Scrittore GIACOMO RETAGGIO e
  • del Dottor SERGIO ZAZZERA.
  • il commento al libro video-registrato della Professoressa CARLA SANTORO, dirigente dell’I.C. «Ugo Foscolo» di Taormina. 

Il professore ELVIRO LANGELLA  illustrerà il progetto ed i prossimi appuntamenti di Taormina, il 26 maggio 2022 e, successivamente, di Roma.

Nel corso della presentazione, il soprano ANNA LUBRANO LAVADERA, diretta dal Maestro MARISA PUGLIA, renderà omaggio a ENRICHETTA CAPOBIANCHI interpretando i brani “Maria a lu Giovedì Santo”, canto della Settimana Santa procidana; “Settima parola”, tratto dalle “Sette parole di Gesù in croce”, composto dal sacerdote procidano Nicola Martiniano, e fino ad alcuni anni fa eseguito costantemente nelle funzioni del Venerdì santo; e, per finire, “Ave Verum” di W. Amadeus Mozart.

IL CRISTO MORTO Fin dal primo Settecento la Congregazione dei Turchini possiede una scultura in legno policromo dello scultore napoletano Carmine Lantriceni. Questa sacra immagine viene portata in processione il giorno del Venerdì Santo. La struggente drammaticità di questa scultura è da sempre nell’anima di ogni procidano, di conseguenza è oggetto di culto e di venerazione. L’effetto più immediato che suscita in chi l’ammira per la prima volta è straordinario. Vedere un corpo straziato dal supplizio della Croce, giacente nell’ultimo spasimo di un dolore atroce, non può non suscitare che profonde emozioni e un immediato desiderio che si trasforma in istinto di voler avere un contatto fisico con l’immagine toccando quel corpo martoriato quasi a voler alleviare il dolore. Ma al di là delle emozioni e dei sentimenti, questa stupenda immagine riporta il credente al Vangelo, dove è spiegato perché un Uomo-Dio soffre e muore in croce. È la pazzia di un Dio che per amore e solo per amore, non esita a sacrificare se stesso sulla Croce per poi riaffermare la sua divinità, non da solo ma coinvolgendo l’umanità intera. http://www.elvirolangella.com/lavori/procida-il-cristo-morto.php

ENRICHETTA CAPOBIANCHI
GIACOMO RETAGGIO – 18 marzo 2022
Attenti alla spada! Mantenete la bilancia!
La voce tesa di don Luigi Fasanaro, il curato, echeggiò nella chiesa di S. Michele. La buona Enrichetta, che tutti chiamavano “Richetta”, ebbe un sobbalzo. Conosceva a fondo il curato e sapeva bene che quando si arrabbiava diventava intrattabile. Ormai erano cinquant’anni e più che frequentava la chiesa e lo conosceva bene. Anzi tutti si chiedevano cosa avrebbe fatto il curato senza l’aiuto di “Richetta”. E questa faceva finta di niente; non si offendeva mai ed offriva tutte le offese che riceveva a San Michele, in sconto dei propri peccati.
Era quello della mattina uno dei momenti più importanti per questa chiesa, vale a dire l’intronizzazione della statua di San Michele sull’altare maggiore in occasione dell’8 maggio, ricorrenza dell’apparizione dell’Arcangelo. I confratelli dei “Gialli” avevano prelevato l’immagine argentea dalla propria nicchia nella sua cappella e l’avevano spostata sull’altare. Era sempre una manovra delicata perché l’argento della statua si poteva graffiare, la spada sguainata poteva cadere o urtare a qualche parte, così come la bilancia poteva oscillare troppo.
L’8 maggio di ogni anno era la giornata più importante per la chiesa e Procida. E don Luigi e la buona “Richetta” lo sapevano. Non si potevano permettere errori. Il prete si definiva “il custode del tempio”; la donna era per contro “L’anima della chiesa”. La manovra dell’intronizzazione di S. Michele era una manovra molto delicata e bisognava stare molto attenti. Si trattava di roba molto preziosa e delicata, frutto della pietà dei Procidani e Richetta lo sapeva benissimo. Cosa sarebbe stata la chiesa di San Michele senza di lei? 01 Ricordo di Enrichetta Capobianchi di Giacomo Retaggio

Elviro Langella è nato il 3 luglio del 1950 a Torre Annunziata (Napoli) e vive oggi a Giardini Naxos in Sicilia. Ha insegnato per 35 anni la Storia dell’arte nei licei, promuovendo iniziative per sensibilizzare attivamente i giovani ad un consapevole accostamento alla ricchezza dell’inesauribile patrimonio artistico del Paese, attraverso linguaggi espressivi ad essi congeniali ed in linea con i new media. A riguardo, ricordiamo i progetti di sua creazione: Interactive Media, Viaggio nella storia del pianoforte e La stanza del sogno presentato in Sicilia e in Calabria e dedicato all’amato deltaplanista ed etologo Angelo d’Arrigo spentosi tragicamente il 26 marzo 2006.

La realizzazione del progetto Il sogno di Polifilo ha richiesto l’intero arco di un triennio, articolandosi in una serie di performance multimediali ambientate in molti siti d’arte tra i più rappresentativi: dalla Peggy Guggenheim Collection di Venezia, alle Cappelle Medicee di Firenze, all’abbazia arabo-normanna dei Santi Pietro e Paolo in Val d’Agrò in Sicilia, al Parco dei Mostri di Bomarzo, al cinquecentesco castello del Carafa di Santa Severina e all’antica Acherontia in Calabria. È autore dei seguenti libri: “La favola alchemica di Raimondo di Sangro” per i tipi di Tullio Pironti (1a edizione) e dell’Ippogrifo (2° edizione); “I marmi filosofali del principe di Sansevero”, E.M.I.S. Multimedia editore; Una Sirena di nome Pegeen (E.M.I.S.); Kubrick. Oltre l’infinito per la rassegna organizzata dallo stesso scrittore nel 2001 a Giardini Naxos, in onore del regista Stanley Kubrick scomparso il 7 marzo 1999. elvirolangella.com/biografia

La favola alchemica di Raimondo di Sangro – da Il Mattino 19 Maggio 1984 IL TEMPIO DEI SEGNI INEFFABILI. La Cappella Sansevero di Napoli testimonia dell’enigmatica personalità di Don Raimondo di Sangro, il Principe che a metà del Settecento ne ideò e diresse la ricostruzione e collocò la serie di sculture allegoriche appositamente commissionate. Se nell’edificio entrasse un greco antico resterebbe turbato scorgendo, a sinistra, il giovane cinto da pelle di leone che rappresenta il Decoro.

La statua ha struttura e linee classiche, quasi pervase da una serenità apollinea; il “profano” di oggi potrebbe cogliervi l’invito ad un tranquillo e austero itinerario contemplativo tra le figure schierate più innanzi. Il nostro greco, però, noterebbe che al forte giovane manca un calzare, lo avrà smarrito: pauroso inizio di un viaggio recente, e forse non concluso in territori d’oltretomba inaccessibili ai comuni viventi. Nell’antichità vennero immaginiati come monosandalos Giasone e Dioniso, entrambi protagonisti di miti tenebrosi, tragici. Il particolare è rilevato e commentato da Elviro Langella nel recente volume La favola alchemica di Raimondo di Sangro e può essere il primo inquietante segnale d’un percorso lungo il quale ai simboli cristiani s’intrecciano fittamente quelli più segreti, iniziatici. http://www.elvirolangella.com/lavori/favolaalchemica.php

  • Il dott. Domenico Macaluso è Ispettore Onorario dell’Assessorato ai Beni Culturali della Regione Sicilia. Le sue singolari esperienze spaziano a tutto campo, dall’archeologia subacquea alla medicina, sposandosi intimamente all’originaria professione di chirurgo, nell’alveo della tradizione di illustri predecessori qual è stato, ad esempio, il medico e vulcanologo Carlo Gemmellaro, per rimanere ai grandi esploratori del mistero dell’Isola Ferdinandea, sulle cui orme Macaluso ha condotto la straordinaria scoperta dell’immenso complesso vulcanico “Empedocle” sui fondali siciliani tra Sciacca e l’isola di Pantelleria. Ci piace ricordare anche l’arditissimo progetto sulla “Space Surgery”, di sperimentazione di telechirurgia appoggiato alla Stazione Spaziale Internazionale. Da una nuova eccezionale scoperta, appunto, del nostro archeologo l’autore del nostro libro ha tratto l’ispirazione dell’intero progetto del suo “Viaggio in sogno”. Si tratta del ritrovamento del relitto dell’ Angelika proprio sulle coste di Ribera, a qualche chilometro da Sciacca www.elvirolangella.com
  • ripost.it – Ribera: Mimmo Macaluso ricorda Letizia Battaglia che fotografò “Lu ‘ncontru” di Pasqua – Quella che allego in questo mio ricordo di Letizia, è una scena dell’incontro di Pasqua scatta dal sottoscritto, non per raffrontarmi alla grande fotografa, ma per focalizzare l’attenzione sul soggetto, che in fondo è quello che ha colpito Letizia Battaglia: alcuni masculuna siciliani, che come bambini saltano e corrono felici, tenendosi per mano.
  • Carla Santoro – Commento al libro “La Favola del principe di Sansevero”
  • ilgolfo24.it – “Procidani si nasce e io lo nacqui” dello scrittore Giacomo Retaggio
  • ilprocidano.it – Procida: Concerto di Natale Congrega dei Turchini – diretto dal maestro Marisa Puglia

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#PasseggiArte. #NarrazioniArtistiche, Masaccio, soprannome di Tommaso di Ser Giovanni di Mòne di Andreuccio Cassài 

«Le cose fatte inanzi a lui [prima di Masaccio] si possono chiamar dipinte,
e le sue vive, veraci e naturali.»
(Giorgio VasariLe vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori,
Vita di Masaccio da San Giovanni di Valdarno pittore)

Masaccio, soprannome di Tommaso di Ser Giovanni di Mòne di Andreuccio Cassài (Castel San Giovanni in Altura21 dicembre 1401 – Romagiugno 1428), è stato un pittore italiano. Fu uno degli iniziatori del Rinascimento a Firenze, rinnovando la pittura secondo una nuova visione rigorosa, che rifiutava gli eccessi decorativi e l’artificiosità dello stile allora dominante, il gotico internazionale. Partendo dalla sintesi volumetrica di Giotto, riletta attraverso la costruzione prospettica brunelleschiana e la forza plastica della statuaria donatelliana, inserì le sue «figure vivissime e con bella prontezza a la similitudine del vero» (Vasari) in architetture e paesaggi credibili, modellandole attraverso l’uso del chiaroscuroBernard Berenson disse di lui «Giotto rinato, che ripiglia il lavoro al punto dove la morte lo fermò».

«Fu una persona astrattissima e molto a caso, come quello che, avendo fisso tutto l’animo e la volontà alle cose dell’arte sola, si curava poco di sé e manco d’altrui. E perché e’ non volle pensar già mai in maniera alcuna alle cure o cose del mondo, e non che altro al vestire stesso, non costumando riscuotere i danari da’ suoi debitori, se non quando era in bisogno estremo, per Tommaso che era il suo nome, fu da tutti detto Masaccio. Non già perché e’ fusse vizioso, essendo egli la bontà naturale, ma per la tanta straccurataggine.»
(Giorgio Vasari)

Cassoni nuziali (Museo Bardini). Era l’attività del nonno di Masaccio nella quale egli si formò forse come pittore.

Maso (Tommaso) di ser Giovanni di Simone (Mone) Cassai, detto Masaccio, nacque a Castel San Giovanni (odierna San Giovanni Valdarno) il 21 dicembre 1401, giorno di san Tommaso Apostolo, da ser Giovanni di Mone Cassai, notaio, e da Jacopa di Martinozzo. I due vivevano nella casa, ancora esistente a San Giovanni, del nonno paterno Simone, che era un prospero artigiano costruttore di casse lignee (da cui il cognome “Cassai”) sia per uso domestico che commerciale. Il padre doveva essere stato incoraggiato sin da piccolo all’attività notarile, facendogli studiare latino e procedura legale, se già a vent’anni, l’età minima per la professione, prendeva l’abilitazione per l’ufficio di notaio. Nel 1406 il padre morì improvvisamente, a soli ventisette anni, e poco tempo dopo la moglie diede alla luce un secondo figlio, chiamato in onore dello scomparso padre, Giovanni, successivamente detto lo Scheggia, che intraprese anche lui la carriera di pittore. Qualche anno più tardi monna Jacopa si risposò con Tedesco di Mastro Feo, un ricco speziale anch’esso vedovo e con due figlie. Il 17 agosto del 1417 morì Tedesco di Mastro Feo e Masaccio divenne il capofamiglia. Per quanto riguarda la sua formazione, secondo il Berti (1989) egli si formò “verosimilmente nella fiorente a abbastanza modernista bottega di Bicci di Lorenzo; mentre il Boskovits (2001) pensa al cognato Mariotto di Cristofano e la Padoa Rizzo (2001) al per altro sconosciuto Niccolò di ser Lapo: tutte ipotesi che allo stato, in mancanza di documenti certi, rimangono tali.

Il primo lavoro sicuramente attribuibile a Masaccio è il Trittico di San Giovenale, datato 23 aprile 1422 e destinato a una chiesa di Cascia di Reggello. L’iscrizione alla corporazione dei pittori di soli quattro mesi prima testimonia che certamente Masaccio eseguì la commissione a Firenze. Il dipinto è composto di tre tavole e rivela già un completo disinteresse verso il gotico internazionale ed una precoce adesione ad alcune novità del Rinascimento, con elementi spiegabili solo con un contatto diretto con Filippo Brunelleschi, inventore della prospettiva, e Donatello. Nello scomparto di sinistra sono raffigurati i santi Bartolomeo e Biagio, nello scomparto centrale la Madonna col Bambino e due angeli, ed in quello di destra i santi Giovenale e Antonio abate. Nella tavola centrale è incisa in capitali latini la scritta: ANNO DOMINI MCCCCXXII A DI VENTITRE D’AP[rile], la più antica conosciuta senza le tradizionali lettere gotiche. Evidente è il rifiuto dell’artista degli ideali di bellezza del gotico internazionale, che agli occhi dell’artista dovevano apparire “amabili ma arrendevoli”[2]. Le figure sono infatti massicce e imponenti, scalate in profondità, e occupano uno spazio costruito prospetticamente, il primo conosciuto in pittura: le linee di fuga del pavimento di tutti e tre i pannelli convergono verso un punto di fuga centrale, nascosto dietro il capo della Vergine. La fisicità fredda e scultorea del Bambino mostra come Masaccio cercasse ispirazione nella scultura coeva, in particolare nelle opere di Donatello, come farebbe pensare anche il particolare delle dita in bocca, tratto dalla vita quotidiana alla quale attingeva anche il grande scultore. Lo schema prospettico rigoroso può derivare solo dalla collaborazione diretta di Brunelleschi. Conoscendo la nota riservatezza del grande architetto nel divulgare le sue scoperte, può darsi che il contatto con Masaccio fosse stato intenzionale, con la consapevolezza di vedere realizzate le sue teorie in pittura. Il primo risultato che conosciamo di tale esperimento, il Trittico, è ancora squilibrato e con gli aspetti religiosi in parte offuscati dalle preoccupazioni tecniche. Nelle opere successive Masaccio fece veloci passi da gigante.

Non si conosce esattamente quando iniziò la collaborazione tra Masaccio e il più anziano Masolino da Panicale. Essendo Tommaso di Cristoforo Fini, detto Masolino, nativo di Panicale presso San Giovanni Valdarno, era dunque conterraneo di Masaccio, e ciò spiegherebbe la collaborazione che ad un certo momento intervenne tra i due. Ossia il pittore più anziano delegava a quello più giovane parti di opere che gli venivano commissionate. In realtà, i primi quaranta anni di Masolino sono quasi completamente oscuri, incluso il luogo di nascita. Un indizio è l’iscrizione di Masolino all’Arte dei Medici e Speziali nel gennaio del 1423, forse proprio per poter tenere bottega con Masaccio che si era insediato in città almeno da un anno prima e di quell’anno è la Madonna dell’Umiltà nella Kunsthalle di Brema, un’opera molto diversa dalla Madonna di Masaccio in S. Giovenale a Cascia di Reggello dell’anno precedente. Nel 1423, Masaccio lavorò con Masolino al cosiddetto Trittico Carnesecchi per la cappella di Paolo Carnesecchi nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Firenze. Del trittico rimangono il San Giuliano conservato a Firenze presso il museo diocesano di Santo Stefano al Ponte e attribuibile a Masolino e una tavoletta della predella con Storie di San Giuliano conservata al Museo Horne di Firenze attribuibile a Masaccio: vi è narrata la vicenda, in cui il santo, secondo la profezia del demonio, uccide il padre e la madre. La Madonna con Bambino, attribuibile a Masolino, di cui esiste ancora una fotografia fu trafugata nel 1923 dalla chiesa di Novoli.

Tra il 1425 e il 1426 oppure, secondo altri studiosi, nel 1427 Masaccio eseguì l’affresco in terra verde, noto come la Sagra, sopra una porta del chiostro della chiesa del Carmine che commemorava la consacrazione della chiesa avvenuta il 19 aprile 1422, alla presenza dell’arcivescovo Amerigo Corsini; Masaccio, secondo il Vasari fu presente alla cerimonia con BrunelleschiDonatello e Masolino. Distrutto nei rifacimenti del chiostro tra il 1598 e il 1600, ne restano tracce in sette disegni. Verso il 1426 Masaccio era abbastanza famoso da aggiudicarsi alcune importanti commissioni private, che lo costrinsero probabilmente a spostarsi più volte in quell’anno tra Firenze e Pisa, come si evince dai solleciti minacciosi e i divieti di occuparsi di altre opere fino al completamento del polittico di Pisa da parte del committente.

Tra il 1426 e il 1428 Masaccio eseguì l’affresco con la Trinità in Santa Maria Novella. L’opera, che segna una svolta verso Brunelleschi nella poetica dell’artista, rappresenta il dogma trinitario ambientato in una cappella illusionisticamente dipinta, nella quale spicca la maestosa volta a botte con lacunari che, come scrisse Vasari, “diminuiscono e scortano così bene che pare che sia bucato quel muro”. Le linee dell’architettura dirigono l’occhio dello spettatore inevitabilmente sulla figura del Cristo in croce, sostenuto da Dio Padre e con la colomba dello Spirito Santo in volo tra i due. Questa triade divina è sottratta alle rigide regole prospettiche, in quanto immutabile e superiore alle logiche della fisica terrena; sotto la croce invece Maria e Giovanni Evangelista sono rappresentati in scorcio come se visti dal basso. Più sotto si trovano i due committenti, che assistono inginocchiati alla scena sacra e che, per la prima volta nell’arte occidentale, sono di dimensioni identiche alle divinità. Alla base è infine collocato un altare marmoreo, sotto il quale si trova uno scheletro giacente con la scritta “Io fu già quel che voi sete: e quel ch’i’ son voi a[n]co[r] sarete“.

A San Giovanni Valdarno, nella casa natale del pittore, è situato un centro sperimentale ed espositivo di arte contemporanea che si chiama Casa Masaccio. Ha l’obiettivo di valorizzare nuovi artisti e nuovi linguaggi dell’arte, ispirandosi proprio alla portata rivoluzionaria che Masaccio ha avuto nel panorama del rinascimento italiano. it.wikipedia.org – Masaccio

Procida capitale italiana della cultura del 2022. La cerimonia di inaugurazione. 

Si è alzato il sipario oggi su Procida capitale italiana della cultura del 2022 con una cerimonia sull’isola alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha rivolto un discorso quasi programmatico, che è arrivato a spaziare sulla situazione globale. «La cultura è un capitale da valorizzare» ed è anche «sinonimo di pace», ha detto il Capo dello Stato, che è stato accolto dai bambini delle scuole e ha rivolto un saluto agli abitanti dell’isola campana. E ha ribadito come lo sviluppo del Paese dipenda dalla crescita del Sud. Da Procida, ha aggiunto il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, arriva «un messaggio di accoglienza. Anche nei momenti più duri la cultura può dimostrare di essere lo spazio del dialogo».

Durante l’anno saranno 150 gli eventi in 300 giorni di programmazione, con 350 artisti di 45 Paesi, secondo lo slogan “La cultura non isola”. Non nasconde la soddisfazione il sindaco di Procida, Dino Ambrosino: «Non chiamateci più “Cenerentola delle isole del Golfo”. Da oggi Procida è una regina». Il programma entrerà nel vivo con gli eventi della settimana Santa tra cui la Processione dei Misteri del venerdì che torna dopo due anni di stop per la pandemia. Le parole chiave che ispireranno il programma saranno legami, co-creazione, dimensione internazionale, inclusione ed eco sostenibilità e con la logica delle 6 “i”: Procida include, insegna, impara, ispira, inventa, innova. Tra gli eventi in programma laboratori, concerti, mostre, itinerari e percorsi, scuole per bambini ed adulti ed ancora un festival letterario, Festival di teatro e arti performative, un laboratorio di citizen science, installazione sonore, uscite in barca a vela e battute di pesca ed una mostra del maestro Mimmo Jodice.

  1. Cerimonia di inaugurazione di Procida capitale italiana della Cultura 2022
  2. Mattarella a Procida: “Cultura è capitale su cui investire”
  3. De Luca – Procida capitale italiana della cultura 2022 (09.04.22)
  4. De Luca: “Procida Capitale Cultura in sicurezza e rimprovera i giornalisti: indossate la mascherina”
  5. Procida Capitale 2022, la cultura non si isola
  6. Procida 2022, incontro tra De Luca e Dino Ambrosino: “non siamo più cenerentola”
  7. Procida Capitale italiana della Cultura 2022: accensione luminarie

MediTerranei. #Storie. Mediterraneo film del 1991, diretto da Gabriele Salvatores.

Italiani – Greci: mia faza, mia raza (µία ϕάτσα, µία ράτσα) – una razza, una faccia è l’espressione resa celebre da Gabriele Salvatores nel film “Mediterraneo” e spesso usata dai Greci nell’incontro con gli Italiani, a sottolineare la vicinanza culturale, estetica e le radici comuni dei due popoli mediterranei.

Mediterraneo è un film del 1991, diretto da Gabriele Salvatores, con Diego AbatantuonoClaudio BigagliClaudio Bisio e Giuseppe Cederna, ispirato e liberamente tratto dal romanzo Sagapò di Renzo Biasion. La pellicola ha vinto l’Oscar al miglior film in lingua straniera nel 1992.

Nel giugno 1941, al termine della campagna italiana di Grecia, otto militari italiani sbarcano su una piccola isola del mar Egeo, con il compito di stabilirvi un presidio. Oltre al tenente Raffaele Montini, un insegnante di latino e greco al ginnasio appassionato di pittura, che li comanda, tra i soldati troviamo il rude sergente maggioreNicola Lorusso, il suo “assistente” Luciano Colasanti, i fratelli Libero e Felice Munaron, che, originari delle Alpi venete, non hanno mai visto il mare, il montanaro Eliseo Strazzabosco, maestro di sci, il disertore Corrado Noventa, che scrive continuamente alla moglie, e il più giovane di tutti Antonio Farina. L’isola appare deserta in quanto è stata parzialmente abbandonata dalla popolazione greca dopo aver subito la precedente sanguinosa occupazione tedesca. I soldati si rivelano assolutamente inadatti all’attività militare. La popolazione presente sull’isola, composta esclusivamente da donne, vecchi, bambini e da un prete ortodosso, sfuggiti alla deportazione che i tedeschi avevano inflitto ai maschi adulti, compare all’improvviso uscendo dai nascondigli nei quali si era rifugiata nel corso dello sbarco degli italiani. Gli isolani hanno avuto modo di osservare di nascosto quei soldati e hanno compreso che sono ben diversi dai tedeschi, che stavolta per loro non ci sono pericoli e che si può tentare una collaborazione. L’isola si rianima di un’umanità nuova, con la quale il gruppo di soldati stringe diverse forme di legame e di sodalizio. Inoltre il prete chiede al tenente Montini di restaurare gli affreschi della chiesa (“Gratis, naturalmente”) sfruttando le sue abilità pittoriche, che ha notato mentre il professore stava dipingendo il ritratto di uno degli abitanti dell’isola.

Un giorno, tre anni dopo lo sbarco dei soldati, un aereo da ricognizione italiano è costretto a compiere un atterraggio d’emergenza sull’isola. Il pilota è il tenente Carmelo La Rosa, il quale, esterrefatto, comunica ai soldati ciò che è avvenuto in Italia negli ultimi tempi: la caduta del fascismol’8 settembre, la fondazione della RSI e l’armistizio con gli anglo-americani firmato dall’Italia. Per i soldati quindi si pone il problema del rientro in patria.

Molti anni dopo il professor Montini, ormai invecchiato, accetta l’invito di Farina a recarsi di nuovo sull’isola. Il turismo di massa ha ormai stravolto la piccola isola greca e il tenente, dopo avere reso omaggio alla tomba di Vassilissa, torna a trovare Farina, insieme al quale Montini trova a sorpresa il sergente Lorusso, che, deluso dell’Italia del dopoguerra, nella quale non si è affatto compiuto quel processo di rinnovamento in cui lui sperava fortemente, aveva scelto molti anni prima di tornare sull’isola e ricongiungersi a quel compagno d’armi dal quale un tempo sembravano dividerlo tante cose. «Non si viveva poi così bene in Italia, non ci hanno lasciato cambiare niente… e allora gli ho detto… avete vinto voi, ma almeno non riuscirete a considerarmi vostro complice… così gli ho detto, e son tornato qui…»

  • Titolo: Mediterraneo
  • Genere: Commedia, Guerra
    Anno: 1991
    Regia: Gabriele Salvatores
    Attori: Claudio Bigagli, Diego Abatantuono, Giuseppe Cederna, Ugo Conti, Gigio Alberti, Vanna Barba, Claudio Bisio, Antonio Catania, Memo Dini, Luigi Montini, Vasco Mirandola
    Paese: Italia
    Durata: 105 min
    Distribuzione: Penta Distribuzione (1991) – Pentavideo, Cecchi Gori Home Video, L’unita’ Video
    Sceneggiatura: Enzo Monteleone
    Fotografia: Italo Petriccione
    Montaggio: Nino Baragli
    Musiche: Marco Falagiani, Giancarlo Bigazz
  • Produzione: A.m.a. Film, Penta Films, Silvio Berlusconi Communications
  • Interpreti e personaggi
  • Diego Abatantuono: Sergente Maggiore Nicola Lorusso
    Claudio Bigagli: Tenente Raffaele Montini
    Giuseppe Cederna: Antonio Farina
    Ugo Conti: Luciano Colasanti
    Claudio Bisio: Corrado Noventa
    Gigio Alberti: Eliseo Strazzabosco
    Antonio Catania: Tenente Carmelo La Rosa
    Memo Dini: Libero Munaron
    Vasco Mirandola: Felice Munaron
    Vana Barba: Vassilissa
    Luigi Montini: prete ortodosso
    Irene Grazioli: pastorella
    Alessandro Vivarelli: Aziz
  • Riconoscimenti
  • 1992 – Premio Oscar
    Miglior film straniero
  • 1991 – David di Donatello
    Miglior film a Gabriele Salvatores, Mario Cecchi Gori, Vittorio Cecchi Gori e Gianni Minervini
    Miglior montaggio a Nino Baragli
    Miglior sonoro a Tiziano Crotti
    Candidatura come Miglior regia a Gabriele Salvatores
    Candidatura come Miglior sceneggiatura a Enzo Monteleone
    Candidatura come Migliore produttore a Mario e Vittorio Cecchi Gori e Gianni Minervini
    Candidatura come Migliore attore protagonista a Diego Abatantuono
    Candidatura come Migliore attrice non protagonista a Vana Barba
    Candidatura come Migliore attore non protagonista a Giuseppe Cederna
    Candidatura come Miglior fotografia a Italo Petriccione
    Candidatura come Migliore colonna sonora a Giancarlo Bigazzi e Marco Falagiani
    Candidatura come Migliori costumi a Francesco Panni
  • 1991 – Globo d’oro
    Miglior musica a Giancarlo Bigazzi e Marco Falagiani
    Candidatura come Miglior film

Vana Barba nome d’arte di Vasiliki Barba è una modella e attrice greca. È stata Miss Grecia nel 1984 ed è stata la candidata greca a Miss Mondo nel 1984, oltre ad aver posato per Playboy sempre in Grecia. Ha recitato nel cinema in Grecia e in Italia. Nel 1991 ha interpretato il ruolo della prostituta Vassilissa nel film premio Oscar Mediterraneo. Ha continuato la sua carriera nella televisione e nel teatro.

MediTerranei. #Storie. 1799. La battaglia del Canale di Procida

La battaglia del Canale di Procida fu un combattimento navale che si svolse il 17 maggio 1799 nelle acque del mar Tirreno Meridionale, sullo specchio acqueo che separa l’isola dell’arcipelago delle Pitecuse (IschiaVivara e Procida) dalla penisola flegrea, costituendo il punto d’ingresso più settentrionale del Golfo di Napoli da quello di Gaeta, collegandoli.

Allo scontro si addivenne nel vano tentativo dei repubblicani di riconquistare l’isola per mezzo di una flottiglia di imbarcazioni agli ordini di Francesco Caracciolo e posto in essere con un infruttuoso colpo di mano avente l’obiettivo di strapparla al controllo anglo-borbonico e portoghese dopo essere caduta in loro possesso assieme alle altre Pitecuse il 2 aprile 1799, imponendo il blocco navale alla città per tentare poi uno sbarco anfibio sulle coste.

La sera di mercoledì 15 maggio, dopo aver notato una ridotta sorveglianza da parte degli anglo-borbonici con la partenza di alcune navi, tra cui la HMS Culloden di Troubridge richiamata da Nelson, un fuoriuscito procidano giunto a Napoli riferì il fatto e giovedì mattina 16 maggio, dopo un proclama di Caracciolo, direttore generale della Marina, salparono verso mezzogiorno, comandate da lui, 2 galeotte, otto 8 cannoniere, 6 bombardiere e vari feluconi alla volta di Procida, dove giunsero la notte.

la mattina del 17 maggio si addivenne allo scontro, la fregata napoletana lealista Minerva comandata dal conte di Thurn fu più volte colpita e ruppe gli alberi, mentre i repubblicani, non essendosi accorti delle batterie costiere che iniziarono a far fuoco su di loro subirono il danneggiamento di una cannoniera e la perdita di 5 uomini e 3 feriti, ed essendo cambiato il vento questi si ritirarono mentre gli anglo-borbonici, oltre alla già citata fregata, subirono il anche il danneggiamento di una cannoniera e diversi morti.

La battaglia fu documentata dal Monitore Napolitano della Eleonora de Fonseca Pimentel e da due guazzi di Saverio della Gatta esposti al museo nazionale di San Martino. it.wikipedia.org – Battaglia_del_Canale_di_Procida_(1799)

E mentre il massacro si perpetrava, la notizia era giunta a Napoli. Sul numero sedici del Monitore del 2 aprile in poche righe era stato reso noto l’avvistamento di quattro vascelli e tre fregate inglesi ancorate a Procida, con la supposizione di essere imbarcazioni fuggite da Livorno che, per mancanza di vento, erano state obbligate ad entrare nel Golfo.

Sui numeri seguenti le notizie giunsero via via più precise: si disse  della cattura dei rappresentanti del Governo e di altri cittadini, l’intervento del  generale francese Macdonald presso il Comandante inglese Troubridge, minacce e trattative sul rilascio dei prigionieri, e la partenza dell’Ammiraglio Francesco Caracciolo con diverse barche cannoniere di osservazione. Il 18 maggio la Pimentel riportava la notizia di  un tentativo di riconquista dell’isola da parte dei repubblicani per effetto di un’azione dell’Ammiraglio Caracciolo che era partito con altri patrioti alla volta di Procida con due galeotte, otto cannoniere, sei bombardiere e vari feluconi.  La spedizione era stata organizzata in seguito allontanamento di alcune navi inglesi dall’isola.  In effetti l’allontanamento avvenne non per una ritirata degli inglesi, ma quando Vincenzo Speciale, a processi conclusi, tornò per affari suoi a Palermo e per la sconsacrazione dei tre sacerdoti a Cefalù. La notizia dell’allontanamento delle navi , scrisse la Pimentel, era giunta  a Napoli tramite una misteriosa persona che era riuscita ad arrivare  da Procida. Chi? Non si seppe mai.

L’Ammiraglio Francesco Caracciolo giunse sull’isola tentando di portare il suo tanto sospirato aiuto solo a metà maggio, dopo oltre un mese e mezzo da che era stata presa dai Borboni, ed il porto di Marina Grande era ancora popolato da fregate e corvette inglesi nelle cui stive  i prigionieri allo stremo, pativano torture infernali. Seppur inferiori di numero, i patrioti repubblicani comandati dall’Ammiraglio riuscirono a fare fuoco ed a far ricadere delle bombe sulle imbarcazioni nemiche. Al grido di Viva la Repubblica, Viva la Libertà, riuscirono a rompere gli alberi della fregata, ma gli inglesi risposero da terra provocando ingenti danni anche alla flotta repubblicana. Caracciolo fu costretto a  tornare a Napoli con  cinque morti e tre feriti.

I nostri patrioti prigionieri, oramai tramortiti, vissero ore di trepidazione: si aggrapparono a quello spiraglio di luce sperando e pregando con tutta l’anima, si illusero che quell’incubo stava per finire e finalmente sarebbero potuti  tornare liberi. E invece no! Dopo una estenuante battaglia sentirono le navi di Caracciolo allontanarsi e l’inesorabile morte farsi più vicina. Il  tentativo di riconquista dell’isola da parte dei repubblicani  passò alla storia come una impresa eroica: Vincenzo Cuoco, nel suo Saggio Storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, con queste testuali parole lo descrisse:

-Caracciolo valeva una flotta. Con pochi, mal atti e mal serviti barconi, Caracciolo osò affrontar gli inglesi: l’officialità di marina, tutta la marineria era degna di secondar Caracciolo. Si attacca, si dura in un combattimento ineguale per molte ore; la vittoria si era dichiarata finalmente per noi, che pure eravamo i più deboli; ma il vento viene a strapparcela dalle mani nel punto della decisione e Caracciolo è costretto a ritirarsi lasciando gli inglesi malconci, e si potrebbe dire anche vinti se l’unico scopo della vittoria non fosse stato quello di guadagnar Procida. Un altro momento, e Procida forse sarebbe stata occupata. Quante grandi battaglie, che sugli immensi campi del mare han deciso della sorte degli Imperi, non si possono paragonare a questa picciola azione per l’intelligenza e pel coraggio dei combattenti!. Il vento che impedì la riconquista di Procida fu un vero male per noi, perché tratanto i pericoli della Patria si accrebbero. Le disgrazie diluviavano: dopo due o tre giorni si ebbero altri mali a riparare, più urgenti di Procida; e la nostra non divisibile marina fu costretta a difendere il cratere della Capitale. Il ministro della guerra Gabriele Manthonè cercò allora di organizzare un estremo tentativo di attacco dalle spiagge vicine di Miliscola e Pozzuoli.  Palpitante di amor di Patria la sua lettera a tutti i rappresentanti della Marina:

-Cittadini. Voi sentite il sacro fuoco della Libertà. Voi  lo sviluppate  contro il più scellerato de’ nostri nemici l’Inglese. Egli fa la guerra; ma quella dell’inganno e del tradimento. Marinai scuotetevi contro costoro. Gli inglesi fanno la guerra contro il popolo e contro i suoi diritti: rinfacciategli  che la guerra si fa con le armi, e contro le armi, non già con la frode. Mostrate nel vostro coraggio l’orrore per i loro misfatti, la pietà per quegli infelici che essi trascinano alle stragi…Inglesi… l’ora del disinganno suona tra il Popolo Napoletano… Conoscerà la perfidia che vi guida, i disastri che provocate contro degli infelici, vi maledirà…vi aborrirà, volerà infine, raccolto in massa a farvi espiare con la morte la serie mostruoso dei vostri delitti. Si: sarete una volta conosciuti e puniti: Viva il Popolo Napoletano. (Napoli 30 Fiorile.anno  7 della Libertà). Ma anche questo tentativo risultò vano. Nonostante l’ardente amor di Patria, dalle spiagge vicine i patrioti altro non poterono fare che osservare il nemico mentre riparava velocemente i danni subiti alle imbarcazioni e si fortificava tirando a terra un’altra cannoniera. A nulla servirono i propositi di vendetta. Il primo giugno la Repubblica Napoletana santificò i suoi primi eroi. Il patibolo fu eretto nella piazza di Santa Maria delle Grazie, nello stesso luogo in cui i patrioti avevano piantato il loro albero della libertà, dove era nato l’amore tra Bernardo ed Aurora ed  in cui la storia, quasi un secolo dopo, avrebbe immortalato la loro memoria su un cenotafio. Dopo due mesi di catene e torture ascesero al patibolo: Vincenzo Assante, Francesco Buonocore, Giuseppe Cacace, Andrea Florentino, Salvatore Schiano, Onofrio Schiavo, Francesco Feola, Giacinto Calise, Cesare Albano di Spaccone, Michele Costagliola, Michele Ciampriamo, Leopoldo D’Alessandro.

I condannati giunsero alla forca incatenati, trascinandosi a stenti  l’un l’altro, ed al loro seguito uno stuolo di sgherri, marinai e preti. L’efferato Speciale mantenne la sua perversa promessa. I familiari furono costretti a presenziare e ad indossare abiti  a festa come tutto il folto pubblico che accorse ad assistere al macabro spettacolo. Il tripudio doveva essere grande. L’ignoranza e la tirannia  avevano  vinto sull’intellighentia, la democrazia e la libertà! Le urla delle mogli dei condannati si udirono per tutta l’isola. La moglie di Buonocore, dopo che anche Napoli fu presa, fu rinchiusa nelle carceri della Vicaria ed ebbe compagna di cella Luisa Sanfelice. Dopo due mesi partorì una bambina già morta, tutti i beni furono confiscati e la vendetta del Borbone perseguitò la sua famiglia per generazioni. www.nuovomonitorenapoletano.it

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MediTerranei. #Suoni. L’infinitamente piccolo – Angelo Branduardi

L’infinitamente piccolo è un album del cantautore italiano Angelo Branduardi, pubblicato nel 2000.

Nel disco, il musicista lombardo ha messo in musica la storia di san Francesco d’Assisi. Tutti i testi sono curati da Luisa Zappa e sono basati sulle fonti francescane.

Tracce
  1. Il cantico delle creature – 3:35
  2. Il sultano di Babilonia e la prostituta (cantata con Franco Battiato) – 5:25
  3. Il lupo di Gubbio – 3:58
  4. Audite poverelle (con Nuova Compagnia di Canto Popolare) – 3:06
  5. Divina Commedia, Paradiso, Canto XI – 4:42
  6. Il trattato dei miracoli – 4:02
  7. Nelle paludi di Venezia Francesco si fermò per pregare e tutto tacque (con Madredeus) – 3:49
  8. La regola – 3:30
  9. La predica della perfetta letizia – 4:33
  10. La morte di Francesco (con I Muvrini) – 5:35
  11. Salmo (diretta da Ennio Morricone) – 3:14

Al disco è seguito un lungo tour europeo che continua tuttora sotto varie versioni tra cui La lauda di Francesco: un viaggio in musica che ripercorre la vita del santo di Assisi, che la Chiesa celebra il 4 ottobre, raccontata dallo stesso cantautore con l’ausilio di attori, ballerini e mimi.

Formazione

L’album nasce da una commissione francescana, accettata invero con qualche dubbio da Branduardi. Evidentemente però, e lo testimonia la musica, l’artista è stato ispirato dai testi del frate umbro. Utilizzando un vasto repertorio di strumenti, in particolare percussivi, Branduardi crea delle ballate rock dal fascino immediato e mai banale. La voce particolarmente dal vivo, le registrazioni non rendono pienamente giustizia a Branduardi, è calda e unica riuscendo a fondere le parole nel dettato musicale con esiti di alta comunicatività poetica. Tutte le canzoni sono immediatamente orecchiabili ma non esauriscono mai la loro carica evocativa al primo ascolto. Particolarmente riuscito il “Cantico delle creature”, “La regola” e “Audite Poverelle” per il loro ritmo incalzante e l’uso originale delle percussioni. L’Album vanta la collaborazione di grandi artisti come Ennio Morricone, Franco Battiato, la Nuova Compagnia di Canto Popolare e il gruppo portoghese dei Madredeus.

Nella seconda parte del concerto Branduardi si concede, come prassi, ai suoi cavalli di battaglia facendo andare in delirio il suo pubblico. Accanto alla “Pulce d’Acqua”, “La Fiera dell’est” e “Si può fare” però aggiunge anche alcune canzoni intimiste per cui si accompagna solamente con la chitarra ribadendo, se ce ne fosse bisogno, la sua vocazione di menestrello. https://www.operateatro.it/it/Recensioni-Cultura-e-musica/Branduardi-LInfinitamente-Piccolo

Io, straniero ai miei fratelli,
pellegrino per mia madre,
ho guardato
ma non c’era chi potesse
consolarmi… 
Il fascino di Francesco si nutre anche delle sue debolezze: 
ne conosciamo la grande solitudine che ce lo fa apparire vicino a noi 
proprio perchè diverso dalle irreali figure mistiche di cui l’agiografia abbonda.

L’INCONTRO CON FRANCESCO (SAN) – Presenza d’obbligo di tutti i suoi concerti, le canzoni su testi francescani dell’album L’infinitamente piccolo. «Uscì nel 2000, da allora ha continuato a vendere senza mai fermarsi. Credo che ormai sia il mio album più venduto. E pensare che quando lo presentai, a Milano, al teatro Smeraldo, mi guardavano come un pazzo. Era giugno, mi dicevano: vedrai che ci saranno al massimo trecento paganti in costume da bagno. Si sbagliavano di grosso. C’era una tale ressa fuori del teatro che ci vollero i carabinieri. Del resto, il mio incontro con Francesco era atteso, stava nella logica delle cose, nel mio percorso». Perché San Francesco? «Ma, intanto, chi era Francesco? Le due immagini più frequentate sono, da un lato, quella del ribelle, un antesignano della teologia della liberazione, una sorta di Frate Mitra. L’altra è quella del giullare di Dio, del menestrello un po’ pazzo, come nel film di Rossellini. Dei film su Francesco a me, detto fra parentesi, ne piace uno solo, il secondo di Liliana Cavani, con Mickey Rourke. Questi due stereotipi non mi hanno mai convinto. Io però non volevo neppure fare un Francesco per devoti e pellegrini. Cosa che nemmeno richiedevano i francescani di Assisi: a loro interessava una figura in grado di parlare a tutti, non solo inter nos, per i fedeli e basta. C’era poi anche il problema dei testi, che io volevo rispettare integralmente, senza alterare o adattare nemmeno una parola. Insomma è stato un gran lavoro, ma il pubblico lo ha capito». «Certo, Francesco è una figura complessa, uomo di pace e non violento ma non pacifista come si dice oggi; uomo di mediazione, che va a parlare con il Sultano; uomo che non vuole rompere con la Chiesa, magari per riformarla dall’interno ma senza drastiche fratture. E poi, quel suo Cantico delle creature non è una cosa da volemose bene. È un’opera profondissima, che echeggia le più antiche cosmogonie che parlano di un canto incrociato fra creatore e creature, in uno scambio di suono e luce. Qualcosa che fa pensare ai riti degli sciamani. Per questo c’è voluto molto tempo per comporre quest’opera».

MediTerranei. #Sogni, #Scelte, #Sapori, #Suoni. “Il bacino del Mediterraneo”

Il bacino del Mediterraneo è un’area geografica riferita agli stati che si affacciano sul Mar Mediterraneo; nella biogeografia ci si riferisce invece alle nazioni che possiedono un clima mediterraneo, e quindi con ecosistemi adatti a questo clima. Il bacino del Mediterraneo è compreso fra le terre emerse di tre continentiEuropaAsia ed Africa, ha forma allungata in direzione est-ovest e si estende dall’Europa alla parte occidentale dell’Asia, comprendendo la penisola dell’Anatolia, con l’eccezione della parte centrale con clima differente.

L’Europa costituisce il bordo settentrionale del bacino, con tre penisole: l’iberica, l’italiana e la balcanica che si protendono nel bacino mediterraneo e posseggono clima corrispondente. Queste tre penisole sono separate dall’Europa centrale da sistemi montuosi come i Pirenei, che dividono la Spagna dalla Francia, le Alpi, che separano l’Italia dall’Europa centrale, e i Monti Balcani, che separano la penisola balcanica dal clima continentale formatisi nel corso dell’orogenesi alpina. Il bacino è delimitato meridionalmente dalle coste settentrionali africane, tra queste la regione del Maghreb che è separata dal deserto del Sahara dalla catena montuosa dell’Atlante.

Gli stati che vi si affacciano sono:

  1. Gibilterra (Regno Unito)
  2. Spagna
  3. Francia
  4. Monaco
  5. Italia
  6. Malta
  7. Slovenia
  8. Croazia
  9. Bosnia ed Erzegovina (Neum)
  10. Montenegro
  11. Albania
  12. Grecia
  13. Turchia
  14. Cipro
  15. Cipro del Nord
  16. Akrotiri e Dhekelia, tre tratti di costa separati (Regno Unito)
  17. Siria
  18. Libano
  19. Israele
  20. Palestina (Striscia di Gaza)
  21. Egitto
  22. Libia
  23. Tunisia
  24. Algeria
  25. Marocco tre tratti di costa separati dalle Plazas de soberanía spagnole

C’è un mare Mediterraneo, un bacino che unisce una decina di paesi. Gli uomini che strepitano nei caffè concerto in Spagna, quelli che gironzolano nel porto di Genova, sui moli di Marsiglia, la razza curiosa e forte che vive sulle nostre coste, provengono tutti dalla stessa famiglia. Quando si viaggia in Europa, scendendo verso l’Italia o la Provenza si ritrovano con un sospiro di sollievo uomini sbracati e quella vita intensa e colorata che ben conosciamo. Ho passato due mesi in Europa centrale, dall’Austria alla Germania, a chiedermi da dove venisse la strana angustia che mi pesava addosso, l’inquietudine sorda che mi abitava. Di recente l’ho capito. Tutti erano sempre abbottonati fino al collo. Non sapevano lasciarsi andare. Non conoscevano la gioia, così diversa dal riso. (Albert Camus)

Che il Mediterraneo sia | la fortezza ca nun tene porte | addo’ ognuno po’ campare | d’a ricchezza ca ognuno porta, | ogni uomo con la sua stella | nella notte del dio che balla | e ogni popolo col suo dio | che accompagna tutti i marinai | e quell’onda che non smette mai. (Eugenio Bennato)

Sono convinto che mai come oggi, pur vivendo in contesti sempre più dilatati, nei quali i contatti sono velocissimi, per resistere non dobbiamo mai abbandonare le nostre radici. Per diventare internazionali, dobbiamo appartenere a un Paese. Quel Paese, per me, è il Mediterraneo, che è sterminato patrimonio di culture e di visioni. (Mimmo Paladino)

Il Mediterraneo è una grande patria, una dimora antica. A ogni mia nuova visita me ne accorgo con evidenza sempre maggiore. Che esista anche nel cosmo, un Mediterraneo? (Ernst Jünger)

  • Various – Mediterranean
  • Etichetta: Travelogue – TRAVCD004
  • Formato:
  • CD, Compilation
  • Uscita: 2002
  • Genere: Folk, World, & Country
Riccardo Tesi & Banditaliana - Argento album cover
Etichetta:Visage Music – VM 3020
Formato:CD, Album
Paese:Italy
Uscita:
Genere:Folk, World, & Country

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