#FuoriLuogo. Creatività dai Territori. Yelena Uvarova.

  I am an illustrator, animal painter, my favorite Christmas theme and Russian winter. 

L’artista moscovita Elena Uvarova, designer di abbigliamento certificata, stilista, ha studiato in una scuola d’arte e alla fine dell’istituto ha lavorato per qualche tempo come artista in una casa modello. Ma un desiderio appassionato di vecchia data per il disegno l’ha fatta andare ad artisti liberi.

Credo che la comunicazione con un gatto nobiliti una persona, anche i gatti stessi, secondo me, la pensano così, in ogni caso i due membri della nostra famiglia e le mie muse. In tutta onestà, dirò che il nostro cane non la pensa così, ma lo dà per scontato. http://www.uvarova-art.narod.ru/8gatticane.htm

Elena Uvarova è un’artista russa, vive a Mosca. In inverno c’era molta neve ed era possibile pattinare fino alla pista, dato che, per la gioia dell’uomo e della bestia, nessuno aveva spruzzato sale sui marciapiedi e la neve era densamente annegata. E c’era tutto ciò di cui un bambino aveva bisogno per diventare un artista, cani, gatti, uccelli, i più bei alberi e giocattoli di Natale, libri e film interessanti, una casa delle bambole (fatta dal nonno) e un mucchio di matite e vernici colorate, molte scuole d’arte, una delle quali io. Ho visitato e, naturalmente, la mia famiglia ha vissuto in questa città, in cui ognuno ha lavorato a modo suo, nonno e madre dipinte, nonna cucita e cucinata deliziosamente.

Non ho alcun titolo, proprio come non ho un abbonamento in nessun sindacato di artisti o designer, non aspiro a questo, cosa cambierà la mia tessera nel mio lavoro? Come diceva il gatto Matroskin: “baffi, zampe e coda sono i miei documenti!”
Dima e io partecipiamo costantemente a mostre e fiere, questo ci permette di guadagnarci da vivere con la nostra creatività.
L’esperienza delle mostre organizzate gratuitamente per me è piccola, ma ancor più costosa.


Il primo, al quale Dima ed io arrivammo con valigie gigantesche di lavoro, si tenne in Belgio, in un posto vicino ad Anversa. Si può dire che i fiamminghi furono i primi ad apprezzare il mio lavoro.
È stato bello vedere la loro calda reazione al mio lavoro, esattamente come la nostra alle mostre. È stato interessante visitare il paese in cui Pietro 1 ha portato così tanti campioni culturali ben radicati in noi, per sentire l’influenza dell’Olanda, dell’arte fiamminga e dell’artigianato sull’arte russa.


La seconda mostra, delle mie riproduzioni, è stata a Ivanovka, il Museo-Museo Rachmaninov, non ero presente, ma, come ci è stato detto, a causa del successo ottenuto, è rimasta nella mostra permanente del museo.

Definire il mio stile non è un compito facile, nel senso che lo stile è una direzione nell’arte, che implica un insieme di caratteristiche inerenti all’opera di un gran numero di artisti, uniti da un compito, idea o periodo di tempo, ma devo darlo, perché a volte i critici d’arte scrivono solo un peccato. Generalmente ho paura degli storici dell’arte, non sai mai di chi ti seguiranno nel tentativo di mettere tutti sugli scaffali. Dirò una cosa, non aderisco a nessuno stile e la mia conoscenza della storia dell’arte è molto modesta, ma hai davvero bisogno di concetti su stili e indicazioni per un bambino che dipinge il suo cane e gatto, un pupazzo di neve che è stato accecato di recente e come è andata a cavalcare tutta la famiglia diapositive e la principessa, su cui leggono una fiaba. Secondo me, tutto è semplice e chiaro, non c’è nulla di nuovo nelle mie storie, devi solo ricordare la tua infanzia, amare e capire gli animali, aspettare il capodanno e i compleanni, beh, nel mio caso, per studiare a lungo.
In senso lato, il mio stile può essere attribuito alla grafica del libro, l’arte ingenua può essere attribuita solo nel significato, ma io la chiamo lunga, ma secondo me questa definizione si adatta di più – è un disegno di un bambino adulto e istruito.

Artista animale, i miei argomenti preferiti sono il Natale e l’inverno russo.

I testi originali sono su http://www.uvarova-art.narod.ru/

Il linguaggio della Dea – Marija Gimbutas

Il linguaggio della Dea - Marija Gimbutas - copertina

“Il linguaggio della Dea” (1989), pietra miliare dell’archeomitologia, ha rivoluzionato le prospettive sulle origini della nostra cultura. L’autrice è riuscita a ricostruire la civiltà arcaica dell’Europa Antica e a riportare alla luce la presenza centrale del femminile nella storia. I suoi studi spaziano dal neolitico all’età del bronzo. A sostegno delle sue tesi, esamina i reperti, in parte già noti e in parte da lei stessa dissepolti durante i suoi scavi nel bacino del Danubio e nel nord della Grecia, che comprendono un vastissimo repertorio di oltre 2000 manufatti, tutti riprodotti nel volume, mostrando i nessi dimenticati tra il mondo materiale e quello dei miti di una cultura raffinata, la cui genesi è alle radici del patrimonio culturale dell’Occidente. https://www.ibs.it/

Il linguaggio della Dea  Marija Gimbutas  
Editore:
 Venexia
Collana: Civette di Venexia
Anno edizione: 2008
In commercio dal: 1 gennaio 2008
Pagine: 390 p., ill. , Brossura
EAN: 9788887944624

Marija Gimbutas è nata a Vilnius in Lituania da genitori medici che nel 1918 avevano aperto il primo ospedale pubblico lituano; entrambi erano molto attivi per la difesa del patrimonio culturale, cosa che influenzò Marija sin dalla più tenera età. Gimbutas studiò archeologia, folklore, arte popolare e antiche religioni baltiche all’Università di Vilnius. Dopo mille peripezie riuscì a fuggire dalla Lituania durante l’invasione tedesca (come amava dire lei “in una mano mia figlia e nell’altra la tesi”) e riprese gli studi presso l’università di Tubinga, dove si laureò nel 1946 in Archeologia a indirizzo preistorico ed etnologico. 

Nel 1949 si trasferì negli Stati Uniti con il marito ingegnere e le due figlie, e nel 1950 l’Università di Harvard le conferì l’incarico di scrivere un libro sulla Preistoria dell’Europa Orientale, che uscì nel 1956, e la nominò membro permanente della biblioteca e del museo Peabody. Nel 1963 si separò e si trasferì con le figlie in California, dove divenne docente di Archeologia Europea all’Università di Los Angeles, e curatrice della sezione di archeologia riservata al mondo antico presso il Cultural History Museum della stessa università. È autrice di oltre venti opere, tra cui I Baltici (Il Saggiatore, 1967), Goddesses and Gods of Old EuropeThe Civilization of the Goddess, Le dee viventi (Medusa, 2005)e di più di duecento pubblicazioni su argomenti che spaziano dalla preistoria e mitologia dell’Est europeo alle origini degli Indoeuropei.

“Il Linguaggio della Dea” (Venexia, 2008) è forse il libro più noto della grande archeologa. Pubblicato per la prima volta nel 1989 negli Stati Uniti, è subito diventato una pietra miliare dell’archeomitologia e ha operato una rivoluzione radicale di prospettiva sulle origini della cultura europea. 

Jenny Wren, Paul McCartney.

Jenny Wren è una canzone di Paul McCartney, presente nell’album Chaos and Creation in the Backyard, incisa il 21 novembre 2005, secondo singolo estratto dall’album nel Regno Unito.

Il brano è stato scritto a Los Angeles, e parla di una donna con lo stesso nome dal romanzo di Charles Dickens Il nostro comune amico. Si riferisce anche a un uccello inglese conosciuto come lo scricciolo (“Wren”), che risulta essere il preferito da McCartney, il quale ha scritto la melodia nello stesso stile finger picking usato in altri suoi pezzi quali Blackbird, Mother Nature’s Son e Calico Skies. La canzone parla di solitudine, come altri suoi famosi brani e si è aggiudicata una nomination per il Grammy Awards del 2007 nella categoria Best Male Pop Vocal Performance. L’assolo è suonato da uno strumento a fiato armeno, chiamato duduk – il primo nella storia della musica pop – eseguito da un musicista venezuelano, il polistrumentista Pedro Eustache. Il musicista ha ricordato la sua esecuzione come un momento catturato “in una sola take”

Jenny WrenAcoustic Guitar [Epiphone Texan],
Percussion [Ludwig Floor Tom],
Vocals – Paul McCartney
Duduk – Pedro Eustache

Nella canzone l’autore parla dell’aridità dei sentimenti del mondo, e di come gli uomini lasciano scorrere i giorni senza dare importanza all’amore ed al valore della vita, non permettendo a Jenny di cantare. La riflessione passa attraverso la povertà e la tristezza del pianeta e dei suoi abitanti, che come “guerrieri feriti” portano via la canzone. Il testo si conclude con una nota di speranza in cui l’augurio è che gli uomini sappiano redimersi e Jenny possa nuovamente cantare.

Zhang Ailing: Lussuria. Traduzione Maria Gottardo e Monica Morzenti.

Nessuno scrittore ha mai usato la lingua cinese con tanta crudeltà come Zhang Ailing, e nessun racconto è bello e crudele come Lussuria.
Ang Lee

Lussuria - Ailing Zhang - copertina
Lussuria
Zhang Ailing
Traduttore: M. GottardoM. Morzenti
Editore: BUR Biblioteca Univ. Rizzoli
Collana: Scrittori contemporanei
Anno edizione: 2007
Formato: Tascabile
Pagine: 171 p., Brossura
EAN: 9788817018753

Nella Shanghai degli anni Quaranta, fascinosa e cupa, amore e spionaggio si mescolano in un’alchimia fatale. Una studentessa diventa l’amante di un funzionario del governo nazionalista durante l’invasione giapponese. Nel tempo circoscritto in cui la moglie di lui gioca con le amiche una partita di majiang, la ragazza attira l’amante in una gioielleria dove è stato preparato l’attentato che deve ucciderlo. Lui vuole regalarle un anello, lei attraversa tutte le fasi del dubbio, dell’indecisione, del rimorso.
https://bur.rizzolilibri.it/

Lussuria, da cui nel 2007 Ang Lee, autore di una breve prefazione al testo, ha tratto l’omonimo film, Leone d’Oro alla Mostra del cinema di Venezia, è in tal senso un classico: Jiazhi è una giovane attrice a cui viene chiesto di sedurre un funzionario collaborazionista per indurlo a cadere in una trappola mortale. La donna però si innamora sul serio, con conseguenze tragiche. I fiori di Yin Baoyan, pur se il meno riuscito del lotto, conserva una freschezza rinfrancante nel raccontare la relazione impossibile tra una studentessa e il suo professore, sposato e con figli. Infine Quanto odio getta uno sguardo lucido e cinico al tradimento e alle bassezze umane: Jiayin incontra Zongyu al cinematografo, ma rifiuta il suo corteggiamento. In cerca di lavoro, accetta di fare da insegnante privata alla piccola Xiaoman, ignara che il padre sia proprio Zongyu. Ne nasce una irrefrenabile relazione extraconiugale resa ancora più cupa dall’intrusione del padre perdigiorno di Jiayin, deciso loscamente a trarre tutti i possibili frutti dalla situazione.

Scritti tra il 1979 e il 1983, e qui tradotti dal cinese da Maria Gottardo e Monica Morzenti, i tre racconti, ambientati negli anni ’40, sono lo specchio nudo di un’epoca tormentata, decadente, inquieta. Zhang Ailing (1920-1995), insolita figura di donna indipendente, colta, consapevole di sé, è rimasta un modello insuperato di gusto e convinzione, ancora oggi amata e ricordata come una delle scrittrici più raffinate di tutta la letteratura cinese.

Lussuria – Seduzione e tradimento è un film del 2007 diretto da Ang Lee, tratto dall’omonimo romanzo di Zhang Ailing.

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Il tempo dei gitani. Regia: Emir Kusturica

Il tempo dei gitani è un film del 1988 diretto da Emir Kusturica.

Perhan, giovane gitano, si trova nelle mani di un branco di malviventi che trafficano con gli esseri umani nella Jugoslavia precedente alla dissoluzione della repubblica titoista. I protagonisti finiranno nell’ambiente della microcriminalità milanese.

Il visionario regista, spesso paragonato a Truffaut e Fellini, sfrutta umorismo surreale e amaro per dipingere lo spaccato di vita di un villaggio gitano che si snoda tra personaggi pittoreschi a due e quattro zampe: furfanti, vecchie maghe, papere, nani e giovani alla ricerca di una sposa.

Un romanzo di deformazione a parabola discendente che divide il film a metà: una prima parte colorata da voli pindarici e una seconda parte amara e maledettamente attuale, visibile ogni giorno agli angoli delle strade delle grandi città.

Kusturica voleva originariamente realizzare un film sui Doukhobors, una minoranza russa che vive in Canada, ma ha cambiato idea dopo aver letto su un quotidiano che una famiglia di rom aveva venduto un neonato in Italia. Per sviluppare la storia il regista visitò per due mesi la comunità rom di Skopje (dove poi girò la prima parte del film) informandosi sulla cultura gitana e facendosi raccontare storie che poi utilizzò per scrivere la sceneggiatura. Durante questi sopralluoghi vennero anche selezionati 120 zingari tra i quali alcuni vennero scelti per interpretare ruoli importanti nel film. In particolare la nonna del protagonista, Baba, lo zio Merdzan e il vicino Zabit. Il protagonista Perhan invece è interpretato da un giovane Davor Dujmović, che aveva già lavorato con Kusturica in Papà è in viaggio d’affari. Il film è stato recitato in lingua romaní ed in serbocroato. Alcune scene del film sono un omaggio al film del regista jugoslavo Aleksandar Petrovic “Ho incontrato anche zingari felici” (menzionato anche dal cantante Claudio Lolli nel 1976 in “Ho visto anche degli zingari felici”).

Titolo originale: Дом за вешање (Dom za Vesanje)
Paese: Inghilterra/Italia/Jugoslavia
Anno: 1988
Durata: 142 min
Genere: drammatico
Regia: Emir Kusturica
Soggetto: Emir Kusturica
Sceneggiatura: Emir Kusturica, Gordan Mihic
Produttore: Mirza Pasic, Harry Saltzman
Casa di produzione: Forum Sarajevo
Distribuzione: (Italia)Columbia Pictures
Fotografia: Vilko Filac
Montaggio: Andrija Zafranovic
Musiche: Goran Bregović
Scenografia: Miljen Kreka Kljakovic
Costumi: Mirjana: Ostojic

La cappella di Santa Maria di Momentana. La Madonna del parto, Piero della Francesca

La cappella di Santa Maria di Momentana è un edificio sacro che si trova in località Cappella di Momentana a Monterchi.

Una piccola chiesa di campagna dedicata a Santa Maria de Momentana o de Silva, ricordata fin dal XIII secolo, sorgeva isolata in questo luogo. L’edificio attuale deriva dalla trasformazione della chiesa in cappella cimiteriale nel 1785 attraverso la riduzione delle dimensioni originarie. Nel 1956 la chiesa fu completamente ristrutturata mutandone l’assetto, l’orientamento e le dimensioni secondo un asse ortogonale a quello precedente.

Per l’altare maggiore dell’antica chiesetta Piero della Francesca dipinse intorno al 1455 il celebre affresco della Madonna del parto, staccato nel 1911, qui conservato fino al 1992 ed oggi nei locali dell’ex scuola di Monterchi.

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Madonna del parto Piero della Francesca

La Madonna del parto è un affresco (260×203 cm) realizzato da Piero della Francesca, databile al 14551465 circa. Tradizionalmente l’affresco viene fatto risalire al 1459, quando l’artista visitò forse Monterchi in occasione dei funerali della madre, che era originaria del borgo. In ogni caso la datazione oscilla di solito negli studi agli anni sessanta del Quattrocento. L’affresco era destinato all’antica chiesa di Santa Maria di Momentana, già di Santa Maria in Silvis, località di campagna alle pendici della collina di Monterchi. Non si conoscono le ragioni per cui il pittore, già famoso, avesse dipinto un soggetto così impegnativo in una chiesetta di campagna e se ne ignora il committente. La destinazione originaria dell’affresco era la decorazione di un altare laterale, dedicato a sant’Agostino, di cui era titolare il vescovo di Sansepolcro. La Madonna del Parto era spesso visitata dalle partorienti per avere protezione durante il travaglio, le quali compivano un breve pellegrinaggio dal paese arroccato fino alla chiesa posta a valle.

Tra il 1784 e il 1786 il sito della chiesa venne scelto per la costruzione del cimitero di Monterchi, e la chiesa venne demolita per due terzi e riadattata a cappella funebre. In tale occasione l’affresco venne tagliato “a massello”, cioè segnando il muro su cui era dipinto, e spostato entro una nicchia centinata sull’altare maggiore, l’unica zona superstite della costruzione originaria. Nel 1789 si verificò un terremoto che danneggiò la cappella.

L’opera rimase negletta fino alla riscoperta ad opera dell’erudito Vincenzo Funghini, che la visitò l’8 gennaio 1889 riconoscendola come opera di Piero della Francesca e ridestando l’interesse degli studiosi. Nel 1911 la Regia Soprintendenza ai Monumenti decise, per ragioni di tutela e conservazione, lo stacco dell’affresco dalla parete, che venne effettuato dal restauratore Domenico Fiscali, che ricollocò l’opera su un supporto di gesso e rete metallica. In quell’occasione venne anche scoperto sotto la Madonna un’altra frammentaria Madonna col Bambino della prima metà del Trecento (oggi nella chiesa di San Simeone di Monterchi).

Il violento terremoto del 26 aprile 1917 costrinse le autorità a mettere l’opera a riparo: prima in un deposito in località Le Ville, dove rimase fino al 12 giugno 1919, poi nel Museo Civico di Sansepolcro, dove fu esposta fino al 13 settembre 1922. In quella data l’opera di Piero tornò nella Cappella di Momentana.

Passata la seconda guerra mondiale, che lasciò la cappella indenne, tra il 1952 e il 1953 la Madonna del parto subì un restauro curato da Dino Dini. La chiesetta venne interessata da pesanti lavori di ristrutturazione nel 1956, che mutarono l’orientamento originario est-ovest in favore di un nuovo asse nord-sud, con la chiusura del vecchio ingresso settecentesco e l’apertura di uno nuovo sul lato meridionale. Qui l’affresco venne esposto sulla parete nord, in quello che era diventato l’altare maggiore.

L’attuale sede dell’affresco
Da «La prima notte di quiete» (Italia, Francia, 1972) di Valerio Zurlini, con Alain Delon, Sonia Petrova, Giancarlo Giannini e Lea Massari. Sceneggiatura di Valerio Zurlini e Enrico Medioli.

L’affresco compare nel film del 1983 di Andrej Tarkovskij Nostalghia, di fronte al quale si svolge una delle scene più suggestive e centrali del film.

Nel film del 1972 di Valerio ZurliniLa prima notte di quiete il professore Daniele Dominici (Alain Delon) illustra questo affresco ad una sua allieva, Vanina Abati (Sonia Petrova), in una descrizione dove si intrecciano emozione e cultura.

https://it.wikipedia.org/wiki/Madonna_del_Parto Il compositore francese Gérard Grisey, appassionato della pittura di Piero, ha preso spunto dalla Madonna del Prato per elaborare la sua opera L’Icône Paradoxale (Omaggio a Piero della Francesca) per due voci femminili e grande orchestra divisa in due gruppi, composta tra il 1993 e il 1994. https://it.wikipedia.org/wiki/Madonna_del_Parto